Germania: sono gli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale e l’ideologia del nazismo è al culmine. Un bimbo biondo viene fermato da un soldato: “Perché non entri nella Gioventù Hitleriana?“. Il bimbo gli risponde semplicemente:”Io sono ebreo“.
La realtà della persecuzione razziale e della guerra la conosciamo tutti ormai. Tutti? Anche i bambini? Barbara Vagnozzi si è posta questa domanda e si è proposta di parlarne anche ai più piccoli, con la storia di “Lev” edito da Gallucci.
Il libro racconta una vicenda reale, la storia del papà di una sua amica. Lev in ebraico significa cuore, e il cuore del Lev della nostra storia è davvero coraggioso! Dopo la famosa Notte dei Cristalli, i genitori di Lev e Hannah decidono di far partire i loro bambini per la Gran Bretagna, unico Paese che ha acconsentito ad aprire le frontiere per accogliere i piccoli ebrei tedeschi in fuga. In un primo momento solo Hannah riesce a lasciare la Germania. La giovane lavora per un anno intero prima di riuscire a raccogliere il denaro necessario per farsi raggiungere dal fratello. Lev ha tredici anni quando lascia la sua città e alla stazione saluta i genitori: non li rivedrà per molto tempo; loro infatti arriveranno in Inghilterra solo alcuni anni più tardi, quando ormai la guerra è in pieno svolgimento.
“Sapete cos’è la Shoah, bambini?” ha chiesto il collaboratore di Barbara mentre lei disegnava. Shoah significa in ebraico “tempesta devastante”, metafora per indicare la furia con cui i tedeschi si sono accaniti contro gli ebrei durante la guerra. La storia di Lev ha un lieto fine, tutti i suoi famigliari approdano sani e salvi sulle coste dell’Inghilterra, ma milioni di altre anime di ebrei sono volate in cielo. Che cosa si può fare perché un orrore del genere non accada più? “Con la condivisione e la speranza” suggerisce Barbara.
I bambini sono stati invitati a condividere con gli altri una storia vissuta da loro in prima persona, una storia di accoglienza e speranza. Alessio ha raccontato di come ha aiutato Christian, il nuovo compagno di classe straniero, a capire ciò che l’insegnante diceva; Greta ha spiegato come sua sorella l’abbia aiutata a superare alcuni momenti difficili. A ognuno è stato dato un bottone: quale simbolo migliore per indicare un legame? I bimbi per completare l’attività hanno dovuto poi regalare il bottone ricevuto in dono a qualcun altro.
Per sconfiggere la guerra ci vuole l’affetto di un legame e la condivisione!
Eleonora Mantovani, tutor Fuorilegge
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