“Fenomeno che riguarda le donne uccise da uomini che rivendicavano il loro possesso” questa la definizione fornita da Michela Murgia riguardo al termine femminicidio. Parola che, nell’arco dell’ultimo anno, ha scatenato numerose polemiche. Infatti non tutti sono d’accordo nell’utilizzarla perché credono che essa crei una gerarchia tra i diversi delitti, che vi siano dunque morti più “importanti” di altri. Tuttavia, continua la Murgia, questo termine presenta un significato ben preciso: una donna uccisa dal compagno è femminicidio, una donna morta in una rapina è omicidio. Perciò rifiutarsi di discuterne e di utilizzarlo è un modo per negare le ragioni che lo causano e decidere di affrontarle per trovare un rimedio.

Tale piaga sociale non è risolvibile solo attraverso leggi restrittive, ma è necessario agire sulla cultura, sulla mentalità e sulle parole poiché esse generano la realtà, come afferma Loredana Lipperini; bisogna affrontare il femminicidio prima che avvenga: è secondario ciò che accade dopo il delitto di donna.

Le due autrici sopracitate, nel loro ultimo libro “L’ho uccisa perché l’amavo” Falso! hanno analizzato il linguaggio delle cronache di femminicidio e violenza, proposto da tutte le testate nazionali, per capire quale fosse la trama comune, per poi superarla.

Se venti anni fa la percentuale di femminicidi sul totale dei delitti generici era del 10%, oggi invece si è arrivati ad un numero ancor più preoccupante: per 1 delitto su 4, si può parlare infatti di femminicidio, è di fondamentale importanza farlo.

Per avere donne vive, dice la Murgia, bisogna agire prima di tutto e sopratutto sulla cultura: l’essenza della donna non si sostanzia, infatti nella sua funzione, per esempio nell’essere solo una brava moglie e donna di casa.

La seconda parte dell’incontro è stata riservata invece alle giornaliste del Corriere della Sera e curatrici del blog la 27esima Ora, Barbara Stefanelli e Giusi Fasano, le quali hanno raccolto le testimonianze di donne vittime di violenza che sono riuscite a trovare il coraggio per superare la loro triste situazione, aprire una porta e richiuderla dietro di loro.

Da ultimo particolarmente toccante è stato l’appello a tutti gli uomini, figure di cui la società  ha bisogno, affinché diventino colti ed illuminati, non siano più identificabili come “uomini dall’istinto cacciatore” che in quanto tali inseguono uno vittima per ucciderla. Michela Murgia conclude dicendo “non so cosa succederà a questa storia, ma qualcosa mi dice che è arrivato il momento di toglierle il guinzaglio.”

Sara Hamado, Margherita Dondi

Galeotto Fu Il Libro

Liceo classico L. Ariosto Ferrara