La guerra è forse il paradosso più marcato dell’umanità; nel corso della Storia, le guerre sono state l’oggetto controverso di infinite glorificazioni e altrettante condanne.
La cosa certa è che, da sempre, le zone di guerra affascinano e terrorizzano chiunque si avvicini ad esse. Vi è spesso, in ognuno di noi, o almeno nei più curiosi, una muta attrazione verso le zone di frontiera. Proprio questo, insieme a numerose altre osservazioni, è ciò che emerge dal libro Ms Kalashnikov, nato dalla collaborazione tra la fotografa di guerra Francesca Tosarelli e lo scrittore Riccardo Pedrini, presentato allo Spazio book del Salone del Libro, in un incontro condotto dall’antropologo Luca Jourdan.

Francesca Tosarelli rappresenta una generazione internazionale, moderna, curiosa, ed è la fonte diretta di tutto il materiale del libro; Riccardo Pedrini, invece, si fa portavoce della generazione immediatamente precedente e pensa che attraverso Ms Kalashnikov si possa trasmettere la consapevolezza che le scelte e le “non-scelte” prese da noi occidentali siano legate inequivocabilmente ai conflitti che stravolgono le zone meno sviluppate del mondo, dalle quali, purtroppo, riceviamo sempre meno notizie.

La forza espressiva del libro sta nell’attenzione dedicata alla dimensione del corpo, propria delle descrizioni molto sensoriali di Francesca, che racconta delle proprie esperienze con fotografie e brevi passi scritti di getto.
L’intero racconto, nonostante ciò, è anche molto introspettivo e analitico, ci porta a riflettere: si tratta pur sempre di storie di guerra, fotografie scattate in prima linea, unite insieme in una sorta di diario sul campo.
In questo libro non ci sono eroi, non ci sono “buoni” e  “cattivi”; i personaggi descritti sono veri, sinceri, reali, mai stilizzati in un’immagine statica ma sempre coerente a se stessa: è un modo di raccontare, questo, che può non essere gradito, ma è l’unico che permetta una cronaca trasparente e coinvolga con efficacia i lettori.

L’idea di scrivere un libro è nata quando Francesca, dopo aver pubblicato un reportage fotografico sulla guerra in Congo, ha capito che le sue fotografie non bastano, non possono bastare, a raggiungere un pubblico ampio e a raccontare gli avvenimenti di cui è stata testimone.
Dopo mesi di lavoro in un ambiente totalmente maschile, per girare un documentario a Capoverde, aveva sentito la necessità di capire e riferire al mondo cosa succedesse sul fronte femminile: frequentando i gruppi dei villaggi in cui si fermava, aveva capito che le donne-combattenti stanno forse ponendo le basi per un cambiamento futuro, senza averne piena consapevolezza. È incominciata così la sua ricerca per comprendere la storia di questi gruppi ribelli: le donne che vi fanno parte ci entrano, il più delle volte, per necessità; sono costrette a combattere, a ribellarsi, a resistere al pari degli uomini.
Francesca si chiede se sia giusta la loro resistenza armata, se la violenza al femminile sia considerata meno grave rispetto a quella maschile.

Sono molti altri gli interrogativi emersi durante l’incontro: ci si chiede quale sia il ruolo di ciascuno di noi, quale il fine che spinge alcuni ad andare sul luogo dei conflitti e a raccontare le proprio esperienze. Non è forse vero che le parole e le testimonianze fanno ben poco, se non raggiungono la sensibilità occidentale? Che le guerre persistono, finché in risposta ottengono solo l’indifferenza? Fortunatamente, ogni tanto, ci si imbatte in personaggi come Francesca, che si mettono in gioco affinché ciò che hanno da dire venga ascoltato.

Sara Tavella, Liceo scientifico Copernico