Ridotto del Verdi, sul palco Cristina Colautti, educatrice dell’Associazione “I Ragazzi della panchina”, Alberto Quagliotto, Direttore del Carcere circondariale di Pordenone, detto da tutti “il Castello”, Alvise Sbraccia, Ricercatore di Sociologia del Diritto, della devianza e del mutamento sociale presso l’Università di Bologna e un giovane bruno, dai tratti magrebini, Rachid.

Parte un filmato: una serie di personaggi maschili, per lo più giovani, ma non manca qualche figura over 40, rispondono ad una serie di domande: ” Perchè hai seguito questo corso, cosa ti ha dato, ti è servito a capire meglio te stesso, a capire gli altri, a EVADERE ?”

Si cominciano a focalizzare temi e ruoli. Codice a s-barre (felice gioco di parole) è un progetto promosso dell’Ambito 6.5 di Pordenone, gestito dall’associazione “I ragazzi della panchina” nella figura di Cristina Colautti che prevedeva un corso di scrittura all’interno del carcere di Pordenone, rivolto ai detenuti. Detto così, sembra banale: in realtà, le testimonianze di chi lo ha seguito, riprese nel filmato, ma soprattutto quella in diretta di Rachid (per intervenire all’incontro ha ottenuto un permesso di uscita dal carcere, il primo dopo tre anni),  gli sguardi affettuosi e protettivi di Cristina verso i “suoi ragazzi”, ci parlano di un rapporto di fiducia, di un grande feeling, di un impegno e ricerca costruito nel tempo con tenacia e dedizione.

Il risultato finale, un libro:” Non giudicare”. Libro policentrico, lo definisce il sociologo Sbraccia, che ne ha scritto l’introduzione, fatto di “pezzi di identità ed esperienze”. Esperienze diverse, come sottolinea il distacco tra le risposte dei detenuti alle domande poste nell’intervista, ma con uno scopo comune: scavalcare gli stereotipi, cercando di passare il messaggio che quello del delinquente non e’ un percorso lineare, una “condanna a morte”, ma puo’ essere invece una spinta verso la vita, perché fallire una volta non significa fallire per sempre. La vita, in loro, si esprime proprio attraverso la scrittura, il loro biglietto per volare fuori da quelle sbarre, da quelle mura: “una parte di me, quella migliore, e’ uscita dal carcere”, ci raccontano.

Certo, il genere è per definizione una sorta di “gallina dalle uova d’oro”: il prison movie, il prison book sono filoni seguiti da anni da molti scrittori di bestseller e registi e che hanno regalato loro la notorietà a livello internazionale. Ciò che morbosamente attrae lo spettatore o lettore che si rapporta a questo tipo di storia è che lavora sulle dicotomie di base dell’esistenza: bene-male, giusto-sbagliato ecc. Tuttavia, questo libro è un qualcosa di diverso, perchè è la prima volta che il carcere si racconta da solo, esclusivamente con le testimonianze di quelli che stanno “dentro”, senza l’intervento di un autore. E l’idea del progetto era di creare stupore. Stupore nei detenuti, che si sono scoperti scrittori, e anche piuttosto bravi, che hanno trovato in se stessi sentimenti che non credevano di avere, e nei lettori, a cui si vuole dire, appunto: “Non giudicate!”

Daniela Gasparotto, Francesca Romano e Alina Andries

Liceo Grigoletti di Pordenone e Liceo Alfieri    di Torino