La grammatica dice che i nomi che finiscono in “o” al femminile prendono la “a”! Questa l’invettiva con cui la linguista Rachele Raus introduce l’incontro di Sabato 14 Maggio sulla parità di genere nel linguaggio. A partire da questa premessa, si riflette sul motivo per cui la parola “cuoca” non trasmette alcuna reazione di stupore, al contrario rimaniamo perplessi nel sentire termini quali “magistrata” o “avvocata”. Questa anomalia, che ci risulta persino cacofonica, è un problema, dice Raus, legato non alla mancanza di ministri o avvocati donna, quanto all’uso delle parole in relazione alla gestione del potere delle parole stesse. Spiega la docente che i termini hanno una gravità elevatissima nell’idea generale della società. Molte volte, continua Rachele Raus, sono l’inizio della violenza di genere. La convinzione che le donne non possano ricoprire ruoli di grande spessore nella società è così radicata che, nonostante oggi questa situazione non sia più attuale, anch’esse ne sono profondamente assuefatte e faticano a immaginare le cose in altro modo, come gli uomini, dopotutto. C’è poi da tener conto dell’obiezione che a queste considerazioni viene mossa. Si dice che il maschile come genere sia inclusivo, cioè che il termine “scrittore” raggruppi sia le donne sia gli uomini che scrivono. A questa generalizzazione Rachele oppone il fatto che essa raddoppi l’errore e la discriminazione. Per evitare che ciò accada, sono di uso corrente espedienti linguistici, come la “separazione”(“Marie e Pierre Curie sono una scienziata e uno scienziato:” invece di “: Marie e Pierre Curie sono scienziati”).  A intervenire è poi Giusi Marchetta, giovane scrittrice e insegnante. Questa riflette sul linguaggio dando manforte alle precedenti constatazioni. Aggiunge poi che, laddove le donne sono consapevoli della loro “grandezza intellettuale”, spesso sono reticenti a farsi definire scrittrici, avvocate, ecc. La situazione è data dall’impressione che “scrittrice” sia sminuente e non appaia come “scrittore”. Il fatto che una donna sia arrivata ad essere un avvocato è quasi un merito, un risultato che raggiungono in poche. In conclusione, viene sottolineata la possibilità incarnata dalla scuola di abituare le giovani generazioni a parlare correttamente senza l’usuale sbigottimento. La parità di genere non si è ancora raggiunta del tutto, ma non si tema che la situazione sia immutabile.

Emma Faccini, Fabrizio Pasqualini

Liceo Ariosto, Ferrara