“Se le tue foto non sono abbastanza buone è perché non sei abbastanza vicino” è così che Capa descrive il suo lavoro. Un fotografo per essere tale non deve essere distante, ma deve immergersi nella realtà dei suoi soggetti per comprendere appieno le loro emozioni e i loro stati d’animo. Secondo Mario Calabresi questo è anche il compito dei giornalisti, essi devono andare a vedere, capire e infine testimoniare, ma non possono fare ciò se stanno a mille chilometri di distanza chiusi in un ufficio davanti a uno schermo.
Calabresi nel suo ultimo libro A occhi aperti analizza le foto che sono passate alla storia intervistando dieci tra i più grandi fotografi viventi. Ha raccolto interviste per ben cinque anni per poter finalmente realizzare il suo fine. Il suo intento non è quello di scrivere un libro sulla fotografia, ma uno sul giornalismo, Calabresi vuole infatti “cogliere l’essenza del giornalismo”. Mise insieme tutto il materiale durante i cinque mesi in cui Quirico, giornalista de La Stampa, era prigioniero in Siria; perché subito prima di partire gli aveva detto che “non puoi scrivere di un bombardamento dal confine,attraverso i racconti dei fuggitivi, non lo puoi raccontare se non hai sentito il rumore delle esplosioni, se non hai passato la notte sveglio insieme a chi sta sperando di arrivare vivo all’alba, se non hai provato la stessa paura” e questo è lo stesso spirito che hanno Steve McCurry, Josef Koudelka e molti altri.

Ciò che ha maggiormente colpito Calabresi di Paul Fusco, è stata la sua tenacia di non smettere a proporre le sue foto del “Funeral Train”, ovvero del treno in cui era stato trasportato il feretro di Bob Kennedy. Fusco decise di non fotografare  la bara come tutti gli altri fotografi facevano, lui si girò dall’altra parte, verso il finestrino, per fotografare il popolo che diceva addio al possibile punto di svolta. Questo servizio fotografico non venne pubblicato; Fusco lo ripropose ad ogni anniversario della morte fino al ventesimo, quando finalmente qualcuno decise di guardarlo e capì la grandezza e l’intensità di queste foto. La tenacia è un altro aspetto che collega il fotografo al giornalista, entrambi devono avere il coraggio di continuare, di credere in sé stessi.

Le grandi foto vengono per caso, per un colpo di fortuna, o sono studiate nei minimi dettagli? Calabresi risponde a questa domanda parlando di Elliott Erwitt e della sua foto del ballo dell’inaugurazione per il mandato di Barack Obama. In questo scatto si possono vedere centinaia di persone con in mano un cellulare che stanno scattando la stessa foto, Erwitt ha capito che per fare una foto che colpiva colui che la guardava, doveva fotografare tutta la scena, tutto l’attimo e non solo la coppia presidenziale. Per poter fare ciò non basta un colpo di fortuna, è importante aver studiato, avere esperienza e un metodo e ciò vale anche per il giornalismo.
“Tutti possono avere una matita e un pezzo di carta, ma pochi sono i poeti”

 Lara Isaia

Reporter Alfieri, Torino