Luis Sepulveda non è uno scrittore impegnato, è un vero e proprio soldato che, armato di penna, scende in trincea a combattere con i suoi, per i rossi ideali di eguaglianza e giustizia sociale. É proprio nella lotta sociale che, secondo l’autore, si forma il proletario e la persona in generale. Quello dello scrittore, come ci dice, è un mestiere che si svolge prima di tutto nell’impegno reale per il conseguimento di una società ideale o, quantomeno, la migliore possibile. É questa l’ atmosfera che riempie il quartiere dove l’autore cileno è nato e maturato come parte integrante del proletariato di Santiago. La città aveva conosciuto nei decenni precedenti alla sua generazione, tra gli anni venti e trenta, una fortissima immigrazione, 500.000 persone su un milione di abitanti, da parte di tutti i lavoratori provenienti dall’area circostante al deserto di Atacama. La crisi estrattiva delle riserve di guano, escremento di uccello usato come fertilizzante, che ricoprivano l’aridissimo deserto, aveva provocato lo spopolamento della regione ed il riversarsi di tutti i lavoratori nei principali centri urbani alla ricerca di una nuova occupazione.

A tredici anni, assieme a tanti altri ragazzini della sua età, Sepulveda si sente in dovere di contribuire alla risoluzione dei problemi di sovraffollamento e miseria della città e fonda così, su personale richiesta del famoso poeta Pablo Neruda, la gioventù socialista di Santiago. Lo scrittore si trova così, completamente solo, a dover costruire dal nulla un movimento che prima, se esistente, non aveva mai avuto un organizzazione precisa tra i ragazzi della sua età. Non sa da dove cominciare e, pertanto decide di affidarsi ai consigli dei più anziani. Tutti lo accolgono con benevolenza e spirito d’iniziativa e lo pongono sempre al centro dell’attenzione perché giovane e portatore di speranza. “Impossibile non diventare rosso” dice lui.

Con costanza riesce alla fine a raggranellare più di duecento convinti giovani con i quali organizza diverse attività di volontariato. Un senso di gioia lo pervade nel vedere come le sue fatiche potessero migliorare le condizioni di vita di altre persone e ridare speranza a numerose famiglie. È il periodo che definisce come “il più bello della mia vita”.

Questa freschezza intellettuale, caratteristica della giovinezza, con i suoi sogni e speranze, è il fulcro centrale dell’incontro di domenica al convento di San Francesco “il passato davanti a noi”. Il concetto di sogno comune e la speranza di una sua realizzazione sono, per Sepulveda, il carburante principale del mondo ed elementi essenziali per il suo miglioramento.

Il suo nuovo libro “l’ avventurosa storia dell’Uzbeco muto”, presentato nello stesso evento da Ilide Carmigniani, traduttrice di tutti i libri dell’autore, ci parla proprio della giovinezza e delle speranze che in essa giacciono spesso incompiute. È la storia di un suo amico peruviano che vince una borsa di studio all’università di Lomonosov per andare a Mosca e ricevere un’istruzione di stampo comunista. Quando però non trova due dei principali motivi che lo avevano spinto ad andare, donne ed alcol, cerca di dirigersi verso Praga ma si perde. Giunge inaspettatamente in Uzbekistan e, non capendo una parola della lingua locale, si finge muto. Tra mille peripezie riesce finalmente a giungere a casa propria in Perù. Il libro è uno spaccato della dittatura comunista raccontato però attraverso una patina di leggerezza e di humour che attraversa tutta la vicenda. È fenomenale il modo in cui l’autore cileno riesca ad incastrare concetti di grande valore culturale e sociale in un dialogo scherzoso e divertente. È così che si è svolto tutto l’incontro, tra momenti di riflessione e di risate generali. Il famoso scrittore sembrava un padre amorevole che cerca di insegnare al suo bambino qualcosa di importante, continuando però a rendere il momento di apprendimento qualcosa di divertente ed interessante. Perché il pubblico in fondo è un po’ come un bambino la cui attenzione va catturata e mantenuta costantemente se si vuole comunicargli qualcosa. È proprio nella letteratura per l’infanzia che Sepulveda sembra, infatti, dare il suo meglio. E pensare che è nato tutto per caso quando, aspettando il termine di un temporale seduto in un caffè, l’autore comincia a leggiucchiare i libri di suo figlio che doveva restituire.

Non gli piacciono. Non gli piacciono per niente. Non li trova adatti ad accompagnare nella sua crescita, quel meraviglioso contenitore di speranze, intelligenza e fantasie che è il bambino. Gli sembrano scritti per degli stupidi non per dei bambini. Decide, così, di intraprendere lui quella che definisce la grande fatica che è scrivere un romanzo per i più piccoli. Lo fa mettendoci tutta la passione, l’amore e la tenerezza di cui è capace ed il prodotto è la meravigliosa “Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Un libro che insegna ai giovani ad accettare le diversità e le difficoltà altrui, per imparare, insieme, a superarle. Secondo Sepulveda il bambino è un essere capace di capire e di giudicare anche meglio di un adulto, perché dotato di ingenuità e spregiudicatezza.  “Il bambino”, dice lo scrittore, “è il critico letterario più difficile da accontentare”.

 

Nello svolgersi dell’evento ci dimostra però di non interessarsi solamente alla condizione dell’infante ma anche del tema dell’uguaglianza dei sessi e dell’importanza delle donne nella rivoluzione socialista. Carmen, sua moglie, e Marzia, una sua amica, ci vengono descritte come donne dall’incredibile forza e tempra d’animo, capaci di resistere al carcere punitivo e alle torture del governo conservatore cileno, pur di non parlare, di non tradire i propri compagni. Il messaggio dell’autore è chiaro: non importa che sesso tu abbia o quale età, se si vuole cambiare il mondo, “bisogna alzare una barricata e resistere!”.

È con queste parole che si chiude l’incontro in un senso generale di approvazione per il mondo della generazione socialista. Esso ha lasciato un segno nella storia sia in termini politici che etici e culturali. Anche se è fallito come modello politico, ha sicuramente ancora qualcosa da insegnare all’universo capitalista, spesso troppo chiuso nel suo cinico egoismo.

 Lorenzo Modena-Liceo Grigoletti Pordenone