Essere lo psicoterapeuta di uno psichiatra. E’ questa l’immagine iniziale del libro Una specie di felicità di Francesco Carofiglio. L’autore inizia a presentare la propria opera proprio da tale immagine, che sta alla base della vicenda, in cui viene a crearsi un rapporto strettamente privato, quello fra medico e paziente, i quali fino a poco prima erano rispettivamente allievo e professore. L’idea di scrivere il romanzo è scaturita da un episodio della vita dell’autore. Questi, in piena notte, essendosi ritrovato di fronte all’uscio di casa senza chiavi, è costretto a riposare in una camera di albergo vicino casa. Il tratto brevissimo di strada da percorrere, prima di allora insignificante, diventa in quell’occasione motivo di straniamento dalla città natale: una situazione surreale che lo trasporta in una dimensione altrettanto surreale.
Il protagonista della narrazione, Giulio, vive un momento molto simile, ed è proprio in tal modo che la storia si avvia dal principio. Lo psicoterapeuta, che si porta appresso tutte le esperienze passate, nonché il rapporto difficoltoso con il padre e con i suoi due figli, si ritrova ad un certo punto della sua vita a dover necessariamente prendere delle decisioni inderogabili, esattamente come l’anziano professore ricoverato nella clinica. Quest’ultimo, reduce da un evento traumatico non svelatoci dall’autore, presenta un disturbo dissociativo a causa del quale non ricorda vicende e persone passate, dunque nemmeno Giulio. Egli vede spesso, fuori dalla finestra della sua stanza, una bambina (presenza immaginaria) che rispecchia la protagonista dei libri precedenti di Carofiglio, come fosse un personaggio trasmigrato. Il medico e il paziente saranno in grado di trovare il loro luogo comune nel potere liberatorio della letteratura.
“Mood” costante dell’intera narrazione è la pioggia: l’autore spiega l’importanza e il significato del suo ruolo con la frase di Calvino presa da Lezioni americane, “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”. Un altro elemento fondamentale è rappresentato dalla “forza del ridere di quello che ci sta intorno”.
La felicità, quindi, è quella inaspettata frazione di secondo che sorprende chiunque nei momenti bui e che non durerà mai in eterno.
Emma Faccini, Fabrizio Pasqualini
Liceo Ariosto, Ferrara
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