Il Terzo Plotone del Quinto Distaccamento dell’Armata Rossa stava avanzando lentamente da giorni lunga l’infinita pianura tra la Vistola ed il fiume Oder, inseguendo le truppe naziste in fuga.
Il giovane ufficiale Andreij Kutuzov, fiero nella sua uniforme, marciava alla testa della colonna seguendo l’itinerario più diretto per il confine tedesco, quando venne raggiunto da un messaggero:
“Soldato Borodin a rapporto signore!” salutò il messaggero.
“Che notizie mi porti, soldato?” rispose l’ufficiale.
“Ordini dal comando, signore: il colonnello Stolopyn ordina di puntare verso la città di Auschwitz, dove è stata segnalata la presenza di un campo di lavoro nazista.”
“Riferisci al colonnello che eseguirò immediatamente.”
Sentita la risposta, il soldato salutò e andò a riferire al colonnello. Kutuzov chiamo a sé il sergente Manolev, e gli comunicò rapidamente l’ordine da impartire ai soldati.
“Colonna a destra!”si sentì risuonare poco dopo. E l’intero plotone si diresse alla volta di Auschwitz.
Il plotone entrò ad Auschwitz il giorno seguente. Kutuzov, come molti soldati del resto, sperava in qualche giorno di riposo dopo le fatiche della settimana passata a marciare, ma non fece nemmeno in tempo a sedersi un attimo che venne convocato d’urgenza dal colonnello Stolopyn. Svogliatamente si diresse verso un edificio che era stato adibito a sede del comando. Appena entrò nell’edificio, Stolopyn, che era intento a studiare alcune mappe, alzò la testa e lo salutò:
“Oh, capitano Kutuzov, eccola, finalmente! Si accomodi!”
“Grazie colonnello.”rispose l’altro, sorpreso dalla quella giovialità che mai aveva visto nel suo superiore. Il colonnello tirò fuori una bottiglia e due bicchieri, che riempì, senza neanche chiedere all’ospite se volesse bere.
“Alla vittoria!”brindò Stolopyn, subito imitato dal commilitone, ed entrambi vuotarono i rispettivi bicchieri. Passarono poi alcuni istanti, che a Kutouov parvero interminabili, dopodiché Stolopyn riprese la parola:
“Ebbene capitano, come ben saprà, la guerra è ormai agli sgoccioli; i nazisti e i loro alleati subiscono pesanti sconfitte quasi ovunque, inoltre”
“Finiamola, colonnello” lo interruppe Kutuzov “quando inizia a parlare così alla fine viene sempre fuori con qualche grana da affibbiare. Che missione mi deve affidare?”
“Kutuzov, ho sempre pensato che fosse un giovane molto sveglio e ne ho appena avuto l’ennesima conferma. Ma non ha completamente ragione: la missione che intendo affibbiarle non è affatto pericolosa. Mi segua.”
Stolopyn si spostò su un altro tavolo, dov’era sistemata una mappa della regione.
“A pochi chilometri da questa città si trova un campo di lavoro nazista per i prigionieri politici, di guerra ed i cosiddetti “nemici sociali”; ormai abbandonato a se stesso e senza alcun nemico Il suo compito è di prendere alcuni uomini e controllarne la situazione.”
“Tutto qui? Devo aspettarmi delle sorprese?”ripose diffidente Kutuzov.
“No, nessuna sorpresa. Dovresti trovare solo alcuni prigionieri. Dovrai schedarli e verificarne le condizioni.”
“E quando devo partire?”
“Domani mattina. All’alba. Ora puoi andare.”
Il mattino dopo, radunati gli uomini richiesti, Kutuzov partì mentre la città s’apprestava a svegliarsi. Mentre lui e la sua squadra avanzavano per la città, il capitano non poté fare a meno di notare tutti i danni che aveva provocato la guerra: molte case erano semi distrutte, ad altre mancava il tetto, le strade erano piene di buchi. Ma ciò che attirò di più la sua attenzione erano le case degli ebrei, che si potevano riconoscere non solo per il simbolo dipinto sopra dalle SS, ma anche perché erano le uniche sbarrate. E il ricordo dell’epidemia che aveva colpito la sua città tornò più forte che mai:le case sbarrate erano quelle dei malati, che poi venivano bruciate per evitare la diffusione della malattia.
“A questo sono arrivati”pensò”a considerare chi non è come loro un malato.”
Dopo circa un’ora di tragitto, il campo di lavoro fu avvistato. I soldati aumentarono il passo per arrivare prima, ma ad un tratto uno di loro gridò:
“Capitano! C’è qualcosa laggiù!”
Kutuzov prese un binocolo e osservò il tratto di pianura davanti a loro: non vide altro che degli stracci bianconeri avanzare verso di loro.
“Non è nulla”disse alla truppa per tranquillizzarla “solo stracci portati dal vento.”
Ripresero a marciare, ma dopo un po’ si accorsero che quegli stracci si muovevano in maniera strana. Sembrava che fossero quasi animati. Quando furono a meno di cento metri da loro, tutti compresero la verità: quegli stracci erano i vestiti di uomo! Ma non un uomo qualsiasi:un uomo magrissimo, praticamente anoressico, che si reggeva malapena in piedi e sembrava trasportato dal vento. Si trascinò fino a loro e, prima di svenire per lo sforzo, disse:
“Gott sei dank! Hilfen!”
“Presto, aiutatelo!”ordinò Kutuzov. L’uomo rinvenne dopo qualche minuto; e un soldato pratico di tedesco gli fece qualche domanda.
“Cos’ha detto?”chiese il capitano al soldato,dopo che questi ebbe finito.
“Non sono riuscito a capire tutto”rispose “ma mi ha detto che gli pare un miracolo vederci:i tedeschi prima di andarsene hanno fatto esplodere una parte del campo e hanno lasciato qui gli ammalati. Il cibo è finito qualche giorno fa e lui ha deciso di cercare di arrivare in città per chiedere aiuto.”
“Bene” valutò Kutuzov “caricatelo su una jeep e proseguiamo”.
Poco dopo entrarono nel campo, e lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu impressionante: ovunque c’erano mucchi di cadaveri morti di stenti, gruppi di uomini in agonia, corvi che si cibavano delle carcasse. Ma la cosa più insopportabile era il puzzo che aleggiava in aria: sembrava che avessero bruciato delle carcasse d’animale, o qualcosa di simile.
Un soldato, che si era spinto più avanti, tornò indietro vomitando:
“Capitano…guardi là dietro” disse, indicando l’angolo. Kutuzov superò l’angolo e vide un mucchio di cadaveri ai quali era stato appiccato del fuoco. Trattenne a stento un conato di vomito dal disgusto.
“Presto” ordinò riprendendosi “quell’uomo aveva detto che avevano lasciato qui gli ammalati. Cercate l’infermeria!”
Pochi minuti dopo il capitano varcò la porta dell’infermeria, dove un prigioniero russo stava spiegando la situazione a dei soldati: diceva che i tedeschi prima di andarsene avevano fatto saltare un edificio che le SS chiamavano scherzosamente “locale docce”, dove portavano gruppi di prigionieri che sembravano sparire nel nulla. Kutuzov cercò di aprire una porta che dava ad un’altra stanza dell’infermeria, ma il prigioniero lo fermò:
“No! Mi ascolti! Meglio per lei se non guarda là dentro!”
Ma l’ufficiale non lo ascoltò e aprì la porta. Stavolta non riuscì a trattenere la nausea: il locale era pieno zeppo di morti di dissenteria e il puzzo era insopportabile.
Superato lo shock, Kutuzov si avviò verso l’edificio fatto saltare dai tedeschi. Non notò nulla di particolare, ma ad un tratto qualcosa catturò la sua attenzione: quella che sembrava una centralina elettrica, e vicino ad essa un cartello. Chiamò un soldato che sapesse il tedesco:
“Riesci a dirmi cosa c’è scritto?”
Il soldato decifrò la scritta, e dopo qualche secondo disse:
“Sembra un cartello di avvertimento: dice “regolare il livello del gas e avviare il getto solamente dopo aver chiuso la porta”, ma non capisco cosa voglia dire.”
“Neanch’io”rispose Kutuzov, e si mise a riflettere, fino quando gli tornarono in mente le parole del prigioniero russo: le persone che entrano là dentro spariscono nel nulla. E tutto gli fu improvvisamente chiaro. Stavolta non solo riuscì a trattenere il vomito, ma lui il capitano imperturbabile, svenne dopo aver respirato un’altra volta l’odore della morte di cui quel posto era impregnato.
Andreij Kutuzov è un personaggio che ho inventato, la cui storia però potrebbe essere vera. E sono sicuro che, come ogni uomo che ha vissuto il dramma della Shoah, si indignerebbe di fronte al negazionismo, di fronte a tutti gli indifferenti che minimizzano, di fronte ai criminali di guerra che non vengono puniti, ai neofascisti che inneggiano a Hitler e al razzismo e ai genocidi che vengono compiuti ancora oggi. Perché ciò che è accaduto è gravissimo, ma non si può cambiare. Si può solo ricordare e fare modo che non accada più. E quando anche l’ultimo sopravvissuto ai campi di sterminio non ci sarà più, sarà ancora di più compito di tutti ricordare alle generazioni future fino a dove può arrivare l’odio umano.
Mattias Gerometta 4H
Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone